Anche se fuori il mondo esplode
Questa non è una recensione: "Non ci sono", Lize Spit (e/o, 2024)
Tik Tok è la mia fonte inesauribile (tant’è che devo metterci un limite di 20 minuti al giorno) di informazioni, trend, soluzioni facili a problemi profondissimi, playlist e baruffe tangibili solo in una determinata parte di internet. Ci passo poco tempo, vorrei scoprire in che abissi mi potrebbe portare, me ne vado via sempre un attimo prima di cedere.
Ieri ho visto il frammento di un video su un riconosciuto scrittore italiano e per un po’ ci ho pensato. A cena con il mio compagno, mi sono messa a guardare il video integrale e, turbata e incuriosita, mi sono fatta una domanda sola: “Chi si prenderà cura di tutti i miei strati?”.
Lo scrittore ha venduto milioni di copie, ha vinto il premio letterario più prestigioso d’Italia, ha continuato a scrivere e poi senza spiegarci né come né quando ha avuto una spaccatura. Non si è disperso ma in un certo senso si è amplificato e, nelle pieghe di tutto quel nuovo spazio, è entrato altro e anche nuovi nomi per chiamarlo.
Non amo quel genere di interviste, non amo la pruriginosa curiosità che alimentano, non apprezzo nemmeno chi, pensando di fare denuncia o informazione, mette in atto del puro e vero intrattenimento. Odio inciamparci, caderci dentro e rimanerne infangata. Ma si parlava di una persona che nella vita – ad altri, lontanissimi livelli dal mio – fa il mio stesso lavoro.
Così, visto che spesso mi immagino che autrice potrei essere o che autrice (purtroppo o per fortuna) non sarò mai, precipitare nella narrazione di un servizio televisivo è stato semplice.
Eppure, non è sull’intervista in sé che ho riflettuto. Delle musiche scelte, delle domande sui dettagli che chiamano il sangue, il soffermarsi sulla vulnerabilità provando a spacciarla per la formula “miseria&storytelling”. Piuttosto, su ciò che sullo schermo non è rimasto ma che ai lati ho trovato un po’ come residuo, piccole scorie fragili che volano via con un soffio. Per farlo ho ripensato fortissimo a un libro che ho letto a fine dicembre e che mi ha tenuta sveglia un po’, pensierosa molto e – se possibile – spaventata ancora di più.
La storia è di Leo e Simon che si amano da dieci anni. Vivono a Bruxelles, hanno gli occhi di chi sa riconoscersi al buio dei tempi perché si sanno a memoria nei punti di luce e negli anfratti. La storia è quella di una vita tranquilla, di rituali magici e quotidiani, di quel “sono io” detto al citofono, delle pieghe del corpo che cambiano, del russare dopo il troppo vino, i segreti di bambina mai confessati a nessun altro e l’esatto punto della stanza in cui sai che troverai l’altro nel ruolo sociale che si è deciso insieme per affrontare il mondo.
Una vita così, una coppia così. Poi una sera Simon che lavora in un’agenzia pubblicitaria, Simon che è tranquillo, che il vino gli va alla testa quasi subito, che ha pochi amici e ha perso la mamma per una malattia da ragazzo, torna a casa con qualcosa di nuovo.
Un tatuaggio, prima di tutto. Una voce impastata e una valanga di parole che non sa tenere a bada.
Leo che vende abiti e accessori per bambini in un negozio del centro, che ha sempre sognato di scrivere film, che ha lasciato il paesino dopo aver perso la madre in un incidente stradale, non sa cosa pensare.
Come fidanzata, come ragazza ormai donna, come amica, complice e compagna di vita, per la prima volta in dieci anni non riesce a leggere tra le pagine della persona che ama perché tutto ciò che vede è scritto male, fuori dai bordi, con dei colori troppo accesi.
“Non ci sono” di Lize Spit (e/o, 2024) è un piccolo totem su di una delle paure più grandi della mia vita presente. L’insensato e irrefrenabile terrore di non conoscermi a fondo e di non saperlo fare neanche delle persone che ho scelto di avere accanto.
Lo svegliarsi una notte e avere il sentore che la tua vita, tutta quella che hai sempre pensato di conoscere e sapere a memoria, in verità era solo un anticipo, solo un pezzo, un sottile strato di tutto quanto.
E se gli strati in più non mi piacessero? E se ciò che sono realmente non fosse in linea con le dinamiche di questo mondo? E se chi amo a un certo punto mutasse così tanto da non sembrarmi più riconoscibile? Se non fossi più grado di voler bene? Di stare accanto nel modo giusto? Di essere amata come prima? Di essere vista nella mia essenza?
Leo e Simon devono affrontare il lunghissimo ponte che due persone innamorate, i genitori, una famiglia, la comunità, il mondo (anche se le ultime due spesso non rientrano nell’elenco) attraversano quando entra in campo la sofferenza mentale. La fiducia che crolla, le notti insonni, l’amore che lascia lo spazio alla cura, che diventa accudimento, che diventa terrore cieco di perdere chi ami per un gesto, una distrazione, l’assenza di qualsiasi tipo di emozione. Le fasi maniacali; gli amici attorno che non sanno e quando capiscono non riescono a stare accanto; ad avere il polso reale della fatica, della solitudine, dello strazio; le fasi persecutorie; il lavoro artistico che diventa ossessione, distruzione; la paura di aver perso il senso della realtà e il mondo che intanto fuori continua a girare e tu che non lo puoi afferrare mai perché sei impegnata nel tentativo di acchiappare chi ami. Perché senza quell’amore forse non sai chi sei, e anche questo è un problema.
C’è un pezzo esatto del libro che mi ha fatto mettere un’orecchia minuscola sulla pagina e che ogni tanto torna da me quando non me lo aspetto. Leo sta correndo verso Simon, una corsa che dura per tutte le 500 pagine del libro e proprio per questo estenuante, infinita e tu che leggi la corri tutta anche se non sei in bici, anche se non sei in Belgio, anche se l’unica persona che conosci meglio al mondo e che ti sa altrettanto bene non è scomparsa dai radar dell’universo con una diagnosi di bipolarismo.
“Durante il mio primo anno a Bruxelles, prima di incontrare Simon, mi era già capitato di sentire il desiderio di sdraiarmi semplicemente in mezzo alla strada, alzare bandiera bianca, perché qualcuno mi trovasse e si prendesse cura di me, non persone che conoscevo, ma estranei che avrebbero attivato subito la macchina dei soccorsi, professionisti che potevi pagare e a cui non dovevi niente. Sembrava, in certi momenti, l’unico modo per sentirmi vicina a mia madre, senza per questo dover morire. Avevo sempre trovato dei motivi per non farlo, ma oggi non riuscivo a pensare a niente e vedevo solo motivi per farlo: la strada era deserta, non aveva piovuto, non avevo niente di prezioso con me, a parte la bici, tra poco sarebbero passati a ritirare la carta e il cartone, Daan aveva da mangiare per un giorno o due e una ciotola di acqua fresca.
Ora o mai più. Senza pensarci due volte mi sdraiai vicino a un gran mucchio di scatole, la schiena sul marciapiede, braccia e gambe in posizione asimmetrica, occhi chiusi immobile, senza vita. Adesso bastava che arrivasse qualcuno, un passante, uno spazzino che mi trovasse e si preoccupasse per me.”
Perché qualcuno mi trovasse e si prendesse cura di me.
Ci ho ripensato anche ieri sera guardando il famoso programma conosciuto per i suoi servizi senza veli, che a tratti dimentica di tenere la dignità al centro. Ci ho ripensato perché, anche se filtrati dalla lente di una macchina da presa, gli occhi di una persona che lotta per tenere insieme i suoi pezzi, i suoi meravigliosi strati, sono occhi che non mentono. Come gli occhi di Simon, che chiedono a Leo solo l’assoluta verità (e proprio per questo cruda, spiazzante e incontenibile) di una carezza e il tempo sacro dell’amore immobile che filtra dalla luce di una finestra, anche se fuori il mondo esplode.
Occhi che qualcosa ti chiedono.
Ecco, la mia più grande paura è di non essere in grado di rispondere a una domanda del genere, a una chiamata di questo tipo per proteggermi e non vedere, non sentire. Non servono tanto per aiutare il prossimo – per quello ci sono i professionisti, i Centri, la sanità pubblica di questo paese e le vite umane che tra famiglie e volontari fanno un lavoro eccelso e troppo invisibilizzato. Più che altro per rispondere e tentare di tenermi vivida, reperibile, attaccata a tutta quella che sono. Anche se fa paura, anche se potrei cambiare da un momento all’altro, anche se potrebbe farlo chi mi sta accanto spaventandomi, anche se non avrò gli strumenti e dovrei costruirli, anche se potrebbe essere faticoso, anche se l’altra persona mi chiedesse di seguirla e la finestra è aperta, anche se andassi in pezzi, anche se non ce la facessi, anche se l’ultimo frammento di me che rimane sono io e in certi giorni non saprei che farci.
E comunque nella parte più protetta di questa testa, io mi saprei sempre sdraiare sul marciapiede freddo della città che vive in me per chiedere aiuto e aspettare. Nello stesso identico modo che immaginavo da bambina e che a 33 anni ho ritrovato dentro a un libro.
Qualcuno arriva, fossi anche solo io. Strato dopo strato mi salvo.
Questa non è una recensione.
La vita mi mette sul tavolo pagine e frammenti; ogni tanto mi ci ritrovo.
A questo giro un’intervista, un libro bello e le chiacchiere sul tavolo con una persona che ha accettato di conoscermi per come sono, anche al di là delle parole che uso per raccontarmi. Se un domani dovessi perdermi, anche grazie ai suoi occhi su di me saprei tornare a casa.
📚 Sto leggendo:
Olga dies dreaming, Xóchitl González (Flatiron Books, 2024)
Consolée, Beata Umubyey Mairesse (Autrement, 2022)
Sky full of elephants, Cebo Campbell (Simon & Schuster, 2024)
La magia dei momenti no, Alison Espach (Bollati Boringhieri, 2024)
Beduina, Alicia Erian (Adelphi, 2008)
Tu non mi conosci, ma… Lettere di Piccolo Squalo a Piccolo Gufo, Holly Goldberg Solan, Meg Wolitzer (Mondadori, 2020)
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👩🏽💻 Per lavorare con me:
Narrazioni contaminate
(se sei un’azienda, una scuola o una realtà culturale possiamo costruire un percorso insieme!)
🔥 Novità:
🗞️ Una recensione di Tra i bianchi di scuola (Einaudi, 2024) qui su Doppiozero
🎧 Il podcast “Essere una scrittrice afrodiscendente in Italia” - La stanza di Adil
✍🏾 Sarò docente alla residenza di scrittura dal titolo Pecore Nere | “Lo Spazio Letterario” a Bologna il 29-30 marzo 2025
✍🏾 Sarò docente di un corso di scrittura dal titolo Crepe e discrepanze | “Le parole dentro” a Torino il 5 aprile 2025
🌍 Questo mese sarò:
18/01/2025 - al Fratture festival | SAVONA, Officine Solimano, ore 17
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