La voce di Cecilia
Così chiediamo una tregua a chi seguiamo, a chi ci consiglia di tutto, a chi ci influenza e ci fa ammalare di tutto questo volere, di tutto questo potere.
Carissimo amore, quanto tempo è passato? Che acqua hai bevuto? Quanti sogni hai fatto? In che punto esatto del corpo sei stato toccato? Ti sei fermato ogni tanto?
Hai resistito?
Che strana parola resistere, mi fa sempre pensare al legno. Quello che in queste case di acciaio e perle in cui ci rintaniamo quasi non c’è, non è più vero e mi chiedo come facciamo, come stiamo al sicuro?
Mi chiedo come la impariamo questa parola immensa, con il suo significato che ci fa girare la testa, con la sua storia che è tutta nostra.
L’ultima volta che ti ho letto credevamo che il prossimo presidente degli Stati Uniti sarebbe stato donna, provavamo ad immaginare la fine di un genocidio dopo mesi e mesi di morti in diretta e ci fidavamo dei voli low-cost, delle idee alle tre del mattino e di noi, sempre di noi.
Cosa è cambiato, allora? Siamo cambiati da allora?
È iniziato un nuovo anno dicono ma ci mancano sempre i soldi, i punti di riferimento, i piani anti panico e le assicurazioni sanitarie, una pianta in camera, un nuovo nome da dare all’anima quando si sente sola e la voce di Cecilia Sala.
Pure quella di Moussa Diarra ucciso a colpi di pistola a Verona, quella di Ramy Elgaml inseguito e ucciso a Milano, di Mamadi Tunkara ucciso a coltellate a Bergamo, di Muhammad Sitta abbandonato dallo Stato e ucciso dalle forze dell’ordine a Rimini. Ci mancano le voci, le grida assordanti di tutti quelli e quelle che le chiamate dalle celle dei CPR d’Italia non possono farle, le voci dei corpi straziati e sotterrati nello stato di Chiapas e di Padre Pérez che ci aveva provato, di chi da più di un anno (o settanta?) vive in una prigione a cielo aperto, dentro un recinto di indifferenza in cui muore di fame, di sete, di freddo e di notizie non date perché chi dovrebbe è a pezzi, ma pezzi nel modo che non vogliamo sapere, che preferiamo dimenticare.
Che tempi osceni in cui vivere, mio sfrontato amore.
Che tempi assurdi e inquietanti. Che fatica tenerli insieme, e noi con loro per crederci decenti e stabili o almeno un po’ più pronti.
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