"I dieci anni migliori della mia vita"
Questa non è una recensione: "L'anniversario" Andrea Bajani (Feltrinelli, 2025)
Non la racconto mai per intero la storia di come e perché mi ritrovo ad avere trentatré anni e un dolore lancinante in pancia che non si placa mai e porta il nome di “assenza di una famiglia”.
È una storia veramente lunga, piena di pieghe tortuose e spesso mi lascia senza fiato dieci secondi dopo aver iniziato a raccontarla. La prima parte, la seconda parte e pure l’ultima - quella di adesso - che a spiegarla non ci credo nemmeno io a volte.
Qualche giorno fa per la prima volta ad alta voce gli ho detto “vorrei conoscere qualcuno che ha vissuto le stesse identiche cose che ho vissuto io” e poi ho aggiunto che non sarebbe stato giusto, che nessuno se lo merita, manco il mio peggior nemico. Figurati io.
Poi alla Feltrinelli di Porta Nuova ho visto “L’anniversario” di Andrea Bajani, ho pensato ‘questo viene candidato allo Strega’ e l’ho lasciato sullo scaffale perché non volevo rimanerci male.
È stato quando ho letto da un trafiletto di una recensione di sfuggita che quell’anniversario del titolo parlava di qualcosa di specifico che mi sono detta ‘mi riguarda’. Erano passati cinque giorni da Porta Nuova, dall’ennesimo treno per una data, una presentazione, forse più di una davanti a tre o nove classi di città o di provincia. Mi sono detta ‘mi riguarda’ e ho comprato l’ebook con la velocità di qualcuno che si fionda in cucina perché non beve da troppo e sa che da qualche parte c’è tutta l’acqua di cui ha bisogno.
Andrea ha un padre, una madre e una sorella. Da Roma si sono trasferiti in provincia di Torino e le mura di una casa di provincia tengono insieme una cosa che non ha nome ma che impregna tutto quanto.
Ad anni di distanza, con una mente cresciuta e il campanello del tempo che suona lo scrittore restituisce un pezzo dell’uomo che è stato, che sarà sempre.
La storia di una famiglia, qualsiasi cosa significhi.
La storia di un bambino, poi ragazzo, poi uomo e infine padre, che ripercorre con i flash di una memoria lunghissima e limpida i momenti, gli snodi e gli sliding door di una vita piccola, piccola e dolorosa.
Di una madre che si fa parete e riflette l’ombra di un marito di pietra, di un padre inaccessibile. Un nucleo microscopico che tiene insieme tutto il silenzio, tutto il dolore e quelle crepe che attorno al tavolo ti fanno andare di traverso la cena per i cento anni successivi.
Non si urla, non ci sono sono lividi, il sangue esce solo dal ginocchio di un piccolo Andrea che dal retro di una bici vuole andare a fondo nell’unico dolore accessibile. C’è una violenza sottocutanea che non viene mai fuori del tutto, che non esplode, non si mostra ma infetta e proprio per questo inquieta, smuove, mette in attesa.
Poi c’è una mamma. Una mamma bellissima, una mamma rovinata, una mamma di plastica, una mamma piccolissima, una mamma che non sceglie, che sogna solo il mare, che subisce, che gioca al silenzio, che prova, cade e poi non riprova più, una mamma che si è fatta edera, si è fatta stella, si è fatta tormento, alfabeto morse, voragine, aria.
“L’anniversario” di Andrea Bajani (Feltrinelli, 2025) ci parla così di ciò che è stato e di come tra un libro e una vita da adulto messa insieme l’ha elaborato, l’ha fatto suo e lo ha accolto nel tempo.
Dieci anni. Dieci anni per dirsi “posso parlane”, per farlo per davvero senza nascondersi dietro i mostri o i personaggi fittizi. E che coraggio, mi sono detta io.
Che voglia, che fegato, che dolore, che paura, che tutto quanto, mi sono detta io.
Forse perché non sto andando avanti con il mio nuovo romanzo proprio per questo, per la fatidica domanda che mi blocca ogni sera sul cuscino di una camera che sto imparando a riconoscere come mia.
Quanto di me posso dare a una storia per far sì che ne valga la pena?
Quanto di me devo proteggere da una storia per far sì che io non mi distrugga del tutto?
“Questo accedere, attraverso l’invenzione, a ciò che il ricordo non possiede, è precisamente la forza brutale del romanzo. Che si disinteressa quasi sempre del reale e fornisce sempre il vero.”
“L’anniversario” di Bajani non cade mai nel pietismo, nella pornografia del dolore o in qualsiasi di quelle pratiche di scrittura che ogni tanto incontro nei libri e mi fanno venire la nausea. Perché la storia aveva un valore, perché testimoniare è importante, perché del dolore scritto bene ne abbiamo bisogno, perché uno scrittore che sopravvive è una possibilità in più per leggere ed imparare.
Nella carrellata di ricordi messi in ordine dall’autore oltre alla sua crescita anagrafica troviamo anche quella di una maturità emotiva mai scontata e piena di dettagli.
Il desiderio di fuga, una sorella che si preserva come può, i guizzi di vita di una madre mai andata a trovare al lavoro, le nocche del padre, un poliziotto in casa, lo studio di una terapeuta, una pizzeria, i libri che escono, l’America, l’amore, il panico che si trasforma in crampi, le telefonate mute, l’amore ancora e un figlio.
“Dieci anni fa, quel giorno, ho visto i miei genitori per l’ultima volta. Da allora ho cambiato numero di telefono, casa, continente, ho tirato su un muro inespugnabile, ho messo un oceano di mezzo. Sono stati i dieci anni migliori della mia vita.”
Una delle frasi che mi hanno ripetuto di più in questi ultimi anni è stata: vedrai che prima o poi una famiglia potrai fartela tu.
E io a dire ok, a dire va bene, a scrivere nei blog, sulle pareti interne dello stomaco e pure su quel muro a Scandicci che io volevo la mia, prima di farmene un’altra. Che io volevo quella che era stata pensata per me dall’inizio, che io mi sarei anche accontentata di quella arrivata dopo, che io aprirei le braccia a chiunque voglia darmene una adesso. Ma tanto non è lo stesso e a me fa sempre male la mamma.
Come un mantra. Che di mamme ne ho avute tre e due sono morte e per una sono morta più di dieci anni fa. E come si fa? Come si fa?
“Si possono abbandonare i propri genitori? O meglio, ci si può sottrarre a loro, semplicemente togliendo il proprio corpo di mezzo con un gesto netto e definitivo? E condannarli a vivere il resto dei propri giorni, per così dire, con un arto fantasma? Non è una risposta che si possa dare in maniera affermativa. Si può solo fare, e io lo feci, con quella ponderatezza definitiva che solo l’istinto consente, perché la ragione, impaurita, altrimenti arretrerebbe.”
Ho letto “L’anniversario” in un pomeriggio perché è un libro breve ma non posso dire che è stata una lettura densa. Per onestà come lettrice avrei voluto di più, come figlia mancata almeno per due volte mi è bastato e avanzato e, a distanza di 10 giorni, ci penso ancora. Ci cado dentro ancora con tutte le scarpe, con tutto il corpo e con le lacrime più salate che ho versato negli ultimi due mesi.
Mi succede perché spesso mi sento sola, perché dire “non ho più rapporti con la mia famiglia” senza specificare se biologica o adottiva, senza avere il tempo di spiegare perché, come, da quanto, come ti ha salvato, quanto hai pianto, urlato, vomitato e come ancora oggi a distanza di anni ci soffri esattamente come il primo giorno, il primo anno, non si può proprio dire. Ma Bajani l’ha raccontato e io ho capito perché anni fa mi ero innamorata dei suoi “Se consideri le colpe” (Einaudi, 2007), “Mi riconosci” (Feltrinelli, 2013), “La vita non è in ordine alfabetico” (Einaudi, 2014) e “Domani niente scuola” (Einaudi, 2008) mi avevano trafitta. Leggendoli avevano dentro altro ma non sono mai riuscita a capire cosa. Però c’era, mi arrivava e ne ero sicura.
Ora che l’ho visto e chissà se una persona che scrive a un certo punto deve arrivare a svelarsi un po’ per farsi capire di più. Chi lo sa.
“Erano giorni, da che avevo compiuto quello strappo, che non riuscivo a dormire, tremavo nel letto in una sorta di panico continuo. Gli anelli della catena, di quella malattia psichica che teneva insieme il nostro nucleo familiare, mi facevano ancora sanguinare.”
Io a Bajani sono grata per la sua narrativa e per le sue poesie. Per essere cresciuto in Piemonte ed essersene andato nel momento giusto. Per aver vinto il Brancati e non lo Strega. Per aver parlato di scuola, di lavoro e di paure innominabili. Per essere così discreto che se lo vedessi in mezzo a una strada, ad un festival, dentro a una stanza non riuscirei a parlargli mai.
Per “L’anniversario” invece non lo ringrazio.
Piuttosto ringrazio me, perché è un libro che ho capito senza dubitare mai, nemmeno un secondo, della verità che ha portato scrivendolo e che in pochi - per fortuna - conoscono. Perché in tutti questi anni con fatica non sono tornata indietro di un passo, ricordandomi ciclicamente che ogni centimetro in avanti nella mia vita è anche una ferita lunga chilometri che un giorno si sanerà, cicatrizzerà.
Questa non è una recensione.
La vita mi mette sul tavolo pagine e frammenti; ogni tanto mi ci ritrovo.
A questo giro M. che alla fine di una presentazione con la sua classe mi dice che è stato l’incontro più bello della sua vita, un’ora al sole in terrazza tutta per me e lui che arriva e posso appoggiare le mie gambe sulle sue mentre leggo, “Fango in paradiso”, la pancia di G. che cresce e mi ricorda che tutto è meraviglia, il mare che mi manca sempre e il primo gelato della stagione a un gusto che ancora non so.